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Comunicati stampa Egea | 24/05/2005

La paura come strumento di potere

COREY ROBIN FA VEDERE COME LE éLITE TRAGGANO VANTAGGIO DALLE NOSTRE INQUIETUDINI, CON LA COMPLICITà DELLE STRUTTURE DELLA SOCIETà LIBERALE E DI CHI SCEGLIE DI FARSI LORO STRUMENTO. NELL’ARENA POLITICA E NEI LUOGHI DI LAVORO

   

Corey Robin
Paura
La politica del dominio
Università Bocconi editore, Milano, 2005
pagine 336, 25 euro

Dopo l’11 settembre la retorica americana tende a vedere la paura come una sensazione salvifica, che ha spinto gli Stati Uniti a fare la cosa giusta e la popolazione a vedere in una nuova e più corretta prospettiva i fatti della vita. Corey Robin, professore di scienze politiche al Brooklyn College, City University of New York, traccia la storia dell’uso politico della paura e ci fa riflettere sulle strumentalizzazioni che le élite ne fanno. Le testimonianze di alcuni dirigenti delle maggiori reti televisive americane, per esempio, fanno capire fino a che punto le loro paure e, di conseguenza, l’autocensura, abbiano contribuito a plasmare un’interpretazione omogenea degli attacchi di Al-Qaeda e della reazione americana.

La prima parte del volume di Robin analizza quattro sfumature dello stesso sentimento: la paura come concepita da Hobbes, che ne riconosce il potenziale utilizzo come strumento politico; il terrore secondo Montesquieu, che vede un despota brutale e sadico esercitarlo per pura soddisfazione personale e individua nelle istituzioni della società liberale gli strumenti attraverso i quali disfarsene; l’ansia che, secondo Tocqueville, serpeggia tra gli orfani dei legami gerarchici dell’Ancien Régime; il terrore totale esercitato dalle dittature del XX secolo al fine di annullare ogni traccia dell’io nelle proprie vittime e descritto dalla Arendt nelle Origini del totalitarismo.

Troppi pensatori, secondo Robin, hanno avuto la colpa di descrivere la paura in forme che escludono il suo utilizzo politico. E invece, prendendo l’avvio da una seconda fase del pensiero della Arendt, quella della Banalità del male, Robin fa vedere che la strumentalizzazione della paura presuppone una serie di attori che agiscono nel proprio interesse.

Le élite “più di ogni altro gruppo cercano di introdurre la paura politica e ne raccolgono i benefici. Se la paura è del genere esercitato dai vertici verso il basso della società, le élite la creano attraverso una coercizione diretta e immediata, sostenendola nel corso del tempo per mezzo delle leggi e dell’ideologia. Le élite prendono l’iniziativa e traggono il maggiore beneficio anche quando la paura è del genere fondato sulla contrapposizione tra la comunità e lo straniero. In quanto protettori ufficiali della sicurezza della comunità, decidono quali minacce siano più rilevanti ponendo, per esempio, l’accento sulla minaccia irachena rispetto a quella nordcoreana, su quella del terrorismo islamico rispetto a quella del terrorismo interno”.

Altrettanto importanti risultano i collaborazionisti, ovvero tutti coloro che, sulla base di una scelta consapevole, decidono di farsi strumenti o complici della paura politica. È il caso del carrierista Eichmann come descritto dalla Arendt, ma è anche il caso dei medici che decisero di partecipare alle torture dei dissidenti sudamericani nella seconda metà del Novecento o di gran parte dell’industria cinematografica negli anni del maccartismo.

Se molti dei materiali storici utilizzati da Robin riguardano proprio la lotta anticomunista di McCarthy e Hoover e la repressione del dissenso nell’Europa orientale, l’autore conclude con la descrizione di una paura politica più sottile e dagli esiti fortunatamente meno tragici, che Corey chiama Paura American Style, e che si annida, prima di tutto, nei luoghi di lavoro. Un genere di paura esercitata non tanto dallo stato, quanto dalla società civile e che trae linfa vitale da quegli stessi accorgimenti che dovrebbero garantire il buon funzionamento dello stato liberale. La separazione dei poteri, per esempio, comporta guerre di potere che possono spingere il presidente degli Stati Uniti, come è successo con Truman, a emanare ordini repressivi per evitare che il congresso indaghi sulle inclinazioni comuniste dei suoi collaboratori; il federalismo fa sì che il cittadino possa essere minacciato da più articolazioni dello stato; il principio della legalità consente a chi dispone di risorse economiche di allungare a dismisura i processi, provocando abbandoni e ritirate nel campo avverso.

L’uso politico della paura è destinato a rimanere vivo, conclude Robin, fino a quando si continuerà a porre maggiore attenzione ai mali da evitare rispetto ai beni da conseguire. La paura è la risorsa politica di chi ha rinunciato a perseguire la giustizia, l’uguaglianza, la libertà.

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TRE DOMANDE a Corey Robin

APPROFONDIMENTO. Il nazista della scrivania accanto

L'indice del volume

SCHEDA. Università Bocconi editore

Fabio Todesco

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