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Comunicati stampa Bocconi | 03/05/2012
Una holding in famiglia paga, soprattutto se il gruppo e' semplice

Una holding in famiglia paga, soprattutto se il gruppo e' semplice

LE AZIENDE FAMILIARI CONTROLLATE DA UNA HOLDING HANNO UNA MAGGIORE REDDITIVITÀ, SOPRATTUTTO SE IL GRUPPO È SEMPLICE, SECONDO UNA RICERCA DELLA CATTEDRA AIDAF-ALBERTO FALCK DELLA BOCCONI IN COLLABORAZIONE CON ERNST & YOUNG

Negli ultimi dieci anni la quota di aziende familiari di medie e grandi dimensioni (con un fatturato di almeno 50 milioni di euro) controllate da una holding è aumentata dal 32% al 38%, sulla spinta dei vantaggi in termini di redditività (il roe delle aziende controllate è del 5,4%, contro il 4,5% delle altre) e di capacità di rimborso del debito (il rapporto Pfn/Ebitda è di 6,6, contro 5,6), anche se tale soluzione si traduce in una crescita più lenta (fatto 100 il fatturato del 2006, nel 2009 le aziende controllate da una holding si attestavano a 103, contro il 106 delle altre).

A rilevarlo è la ricerca Le holding dei gruppi italiani a controllo familiare, di Guido Corbetta, Alessandro Zattoni e Fabio Quarato della Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari della Bocconi in collaborazione con Ernst & Young. La ricerca analizza tutte le aziende familiari italiane con fatturato superiore ai 50 milioni di euro, utilizzando il database dell’Osservatorio AUB.

Ad avere i risultati migliori sono le strutture più semplici, ovvero quelle che registrano la catena di controllo più corta (un solo livello: la holding controlla direttamente la capogruppo industriale) e, tra queste, quelle in cui la holding svolge attività più limitata, senza aggravi di costi e duplicazioni di strutture spesso già presenti nelle società controllate. Non è un caso, allora, che la catena di controllo a un solo livello interessi il 74,3% delle società, quella a due livelli il 22,5% e solo il 3,2% faccia parte di gruppi con tre o più livelli.

Le holding ad attività più ridotta sono quelle patrimoniali (poste al vertice del gruppo nell’82,8% dei casi), che si limitano ad acquistare e vendere partecipazioni, spesso in totale assenza di dipendenti), mentre le holding finanziarie (poste al vertice del gruppo nel 17,2% dei casi) sono dotate di strutture proprie, condizionano l’attività di investimento e finanziamento delle aziende controllate e offrono loro alcuni servizi. La catena di controllo può essere allungata da holding di partecipazione che, come quelle patrimoniali, si limitano a detenere partecipazioni finanziarie, ma sono poste al di sotto delle holding di vertice. Le holding industriali sono invece capogruppo che svolgono attività imprenditoriale e di indirizzo strategico nei confronti delle società del gruppo attraverso strutture accentrate di pianificazione strategica e di controllo.

La forma giuridica prevalente delle holding di vertice è quella della società per azioni (41,9% dei casi), seguita dalla società a responsabilità limitata (34,2%); più distanziate la società di persone (5,9%) e la società in accomandita per azioni (4,7%), mentre rimane piuttosto diffusa, nonostante la tendenza alla riduzione che caratterizza gli ultimi anni, la società di diritto estero (13,2%).

Un approfondimento sui 49 gruppi industriali di maggiori dimensioni (fatturato superiore al miliardo di euro) evidenzia una netta tendenza alla riduzione delle attività e della lunghezza della catena di controllo. Tra il 2006 e il 2010 i dipendenti medi delle holding di vertice di questi gruppi sono passati da 114 a 48 e i ricavi delle holding da 40,9 a 15,8 milioni di euro.

“La ricerca conferma che la funzione principale delle holding rimane quella di controllo”, afferma Zattoni, uno degli autori. “Non servono a favorire l’ingresso in nuovi business, dato che nel 57% dei casi i gruppi sono addirittura monobusiness. Sono proprio le holding a vedere più spesso un familiare nel ruolo di vertice, in circa i tre quarti dei casi. Questo leader è spesso anche il leader della società caposettore. Il controllo si esplica, soprattutto, attraverso la presenza nel consiglio di amministrazione. Basti pensare che nel 60% dei casi almeno un terzo del cda della caposettore è rappresentato da consiglieri della holding e nel 39% dei casi lo è più di metà del cda”.

"Non necessariamente la struttura complessa”, aggiunge Paolo Zocchi, partner Ernst & Young e Family Business Center of Excellence Leader per ltalia, Spagna e Portogallo, “è sinonimo di prestazioni migliori in particolare per i gruppi di medie dimensioni. La ricerca mostra i come in molti casi strutture di gruppi semplici possano generare performance (sia in termini di crescita dei ricavi che di redditività) più elevate forse perché più flessibili e reattive e quindi più veloci nell'adeguarsi alle mutevoli condizioni di mercato. Solo nella misurazione delle performance legate all'indebitamento i gruppi articolati e/o complessi sono in grado di raggiungere risultati superiori alla media sfruttando al meglio tutte le sinergie della propria organizzazione”.

Fabio Todesco

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Barbara Orlando
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