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Comunicati stampa Egea | 01/11/2005

Mediobanca, la storia dà ragione a Cuccia

L’ANALISI DI GIANDOMENICO PILUSO PRESCINDE DAL PETTEGOLEZZO FINANZIARIO E MOSTRA, DOCUMENTI ALLA MANO, IL RUOLO DECISIVO DELL’ISTITUTO NELLO SVILUPPO DEL CAPITALISMO ITALIANO. ALMENO FINO AGLI ANNI ’60, PERCHé POI...

   

Giandomenico Piluso
Mediobanca
Tra regole e mercato

Egea, Milano, 2005
230 pagine, 16 euro

A cinque anni dalla scomparsa di Enrico Cuccia la vicenda di Mediobanca può già essere ripercorsa dagli storici dell’economia. Giandomenico Piluso, che insegna all’Università di Siena e alla Bocconi, manda in libreria Mediobanca. Tra regole e mercato (Egea, 230 pagine, 16 euro), un’analisi dell’operato della banca d’affari milanese che prescinde dal pettegolezzo economico degli ultimi 60 anni, per concentrarsi su strategie e documenti, quasi a dare ragione allo stesso Cuccia che, in una lettera del 1993 a Romano Prodi, scriveva: “Questo nostro modo di lavorare ci procura molte antipatie, ma un lavoro di questo genere non può essere condotto a buon fine se si è frastornati dalle chiacchiere dei giornali, dalle interrogazioni parlamentari e dai sindacati”.

Il respiro dell’analisi è evidente fin dal primo capitolo che, investigando la nascita di Mediobanca, chiarisce i motivi che avrebbero guidato la condotta dell’istituto nei decenni successivi. Indicando a modello di Cuccia la Bastogi di Alberto Beneduce, Piluso chiarisce che “Mediobanca si connette con la genesi di un’idea di capitalismo che attinse alle esperienze di economia organizzata della grande guerra e alle dure prove di instabilità valutaria e finanziaria degli anni Venti. L’accettazione e la regolazione delle alleanze collusive tra le grandi imprese discendevano dalla realistica valutazione della scarsità delle risorse materiali (i capitali) e delle risorse umane (talenti imprenditoriali e capacità organizzative)”.

Al centro delle preoccupazioni di Mediobanca, secondo Piluso, ci sarebbe stata la continuità delle imprese, tutt’altro che assicurata da un sistema economico che, in mancanza di un efficiente e ampio mercato finanziario, non riusciva a garantire la necessaria dotazione di capitali. La scarsa sensibilità per gli azionisti di minoranza e l’attenzione alle grandi dinastie industriali sarebbero solo un sottoprodotto di tale impostazione.

L’analisi degli impieghi di Mediobanca dimostra anche che, dalla fondazione nel 1946 fino ai primi anni ’60, Cuccia seppe finanziare i settori in cui la ricerca era cruciale ai fini della competitività. Di lì in avanti, i finanziamenti sono andati a imprese meno innovative, ma forse perché l’economia italiana non offriva niente di meglio. La tesi secondo cui si devono imputare a Mediobanca il declino e l’ingessatura del capitalismo italiano sarebbe, perciò, assai discutibile.

È vero, invece, che l’estremo pessimismo di Cuccia nei riguardi delle capacità dei grandi imprenditori italiani ha assecondato, alla fine degli anni ’80, lo spostamento dei grandi capitali privati dai settori industriali aperti alla concorrenza straniera ai settori più protetti dell’erogazione dei servizi di pubblica utilità appena privatizzati.

Mediobanca, con le parole di Piluso “avrebbe favorito, in modo positivo, la coesione delle grandi imprese negli anni ’50 e ’60, ma non sarebbe stata in grado di assecondarne la capacità innovativa e competitiva nella successiva fase di aumento dell’integrazione dei mercati internazionali”.

Parallela alla storia dell’incidenza di Mediobanca sulle sorti economiche del paese, corre la storia dell’azienda Mediobanca e Piluso suggerisce che alcune delle scelte solitamente lette in chiave politica si possano spiegare, invece, con l’attenzione di Cuccia ai bilanci dell’istituto. Mediobanca è sempre stata rigorosa nella valutazione della capacità di rimborso delle imprese, come dimostra l’infimo livello di sofferenze, ma le prudenza l’ha sempre trattenuta dal finanziare le iniziative più innovative e più rischiose.

Non solo la scomparsa di Cuccia, ma soprattutto le mutazioni del panorama competitivo e i cambiamenti legislativi nel settore del credito hanno portato Mediobanca, in pochi anni a partire dall’inizio dello scorso decennio, a perdere la centralità conquistata nei 50 anni precedenti. L’ultimo paragrafo si intitola Metamorfosi o declino?, ma è verso il secondo corno del dilemma che il lettore si sente inesorabilmente trascinato.

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TRE DOMANDE a Giandomenico Piluso
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Fabio Todesco

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