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Comunicati stampa Egea | 24/08/2005

Il lato oscuro della democrazia

LA PULIZIA ETNICA è UN FENOMENO MODERNO, SCATENATO DALLE DEMOCRAZIE IN CUI SI SOVRAPPONGONO I CONCETTI DI DEMOS E DI ETHNOS. LO DOCUMENTA, DAGLI INDIANI D’AMERICA A SREBRENICA, UNA MONUMENTALE OPERA DEL SOCIOLOGO MICHAEL MANN

   

Michael Mann
Il lato oscuro della democrazia.
Alle radici della violenza etnica
Università Bocconi editore, Milano, 2005
704 pagine, 34,50 euro

Forse è vero che le democrazie si fanno raramente guerra tra loro, evitando la carneficina delle battaglie, ma hanno una faccia agghiacciante, che miete milioni di vittime, ammonisce il sociologo Michael Mann nel suo Il lato oscuro della democrazia. Alle radici della violenza etnica (Milano, Università Bocconi editore, 2005, 704 pagine, 34,50 euro): la pulizia etnica.

La pulizia etnica omicida è un fenomeno sostanzialmente moderno, perché alla sua base vi è una concezione della democrazia, che Mann definisce “organica”, nella quale si sovrappongono i concetti di demos e di ethnos.

La ricostruzione storica di Mann mostra come ciò non si verificasse quasi mai prima del ‘700, quando i grandi conflitti coinvolgevano imperi multietnici contrapposti. Persino quella che viene spesso considerata la madre di tutte le contrapposizioni etniche, la battaglia del Campo di Kosovo del 1389, fu in realtà combattuta tra due schieramenti multietnici e il mito di un esercito integralmente serbo che si contrapponeva al nemico musulmano è un’invenzione nazionalistica dell’800.

Alcuni tra i regimi più feroci nei riguardi delle minoranze sono stati i più democratici nei riguardi di chi, per caratteristiche etniche, rientrava nella definizione organica di popolo. È il caso delle colonie che hanno dato vita agli Stati Uniti e all’Australia. Thomas Jefferson riteneva che la barbarie degli indiani ne giustificasse il totale annientamento e scrisse: “Nella guerra, loro uccideranno alcuni di noi; noi li distruggeremo tutti”.

Mann definisce democrazie liberali quelle in cui il conflitto prevalente è tra interessi economici o classi contrapposte. Tale conflitto può quasi sempre essere istituzionalizzato e non dà origine a violenze etniche. Le democrazie organiche si sono, invece, sviluppate a partire dalla ribellione di singoli gruppi etnici all’oppressione di imperi stranieri. Il nazionalismo, in queste circostanze, diventa un’ideologia altamente mobilitatrice, porta alla liberazione, ma rischia di superare il segno e degenerare in pulizia etnica. Il Nord del mondo, argomenta Mann, si è democratizzato prima e le nazioni sono ormai quasi tutte etnicamente ripulite; il Sud è oggi più a rischio perché sta affrontando il processo di democratizzazione, in un contesto nel quale le etnie non occupano ancora territori distinti.

Analizzando una quantità sterminata di fonti, Mann ripercorre nel dettaglio la storia delle peggiori pulizie etniche omicide: da quelle coloniali in Messico, Australia e Stati Uniti a quella degli armeni da parte dei turchi, dall’Olocausto a Stalin, Mao e Pol Pot, dalla Yugoslavia al Ruanda. Arriva, così, a definire le condizioni che facilitano l’esplosione della violenza.

La zona di pericolo viene raggiunta quando due gruppi etnici consolidati rivendicano il diritto alla creazione di uno stato sullo stesso territorio e le loro rivendicazioni hanno una qualche legittimità e possibilità di riuscita. Si supera la soglia della pulizia omicida quando la parte più debole decide di combattere nella convinzione che riceverà aiuto dall’esterno o la più forte pensa di poter attuare la pulizia senza sostanziali rischi fisici e morali. Uno stato frazionato e un ambiente geopolitico instabile e improntato alla guerra risultano essere fattori facilitanti. È un richiamo esplicito alle responsabilità dell’Occidente che, in anni recenti, non è riuscito a esercitare le pressioni economiche e militari necessarie a impedire i massacri in Yugoslavia e Ruanda.

Mann sostiene che la pulizia omicida non è quasi mai l’intento iniziale dei perpetratori. Vi si arriva dopo un’escalation che vede fallire, in sequenza, piani meno sanguinosi di allontanamento della minaccia etnica in termini di repressione poliziesca e deportazione.

Negli episodi di pulizia etnica omicida si riescono sempre a distinguere delle élite radicali, dei militanti violenti e una base popolare che fornisce un consenso di massa, anche se raramente maggioritario. I tre attori interagiscono tra di loro fino al raggiungimento di una situazione in cui sono le normali strutture sociali a spingere la gente comune a commettere omicidi e a partecipare alla pulizia etnica, con motivazioni molto più materiali che ideologiche.

A conclusione di questa sorta di libro nero della democrazia, Mann riesce a trovare qualche motivo di ottimismo. Non ci sono ragioni per considerare la pulizia omicida un carattere necessario della condizione umana. “Il lato oscuro della democrazia”, scrive, “ha ormai compiuto la sua traiettoria attraverso le società moderne. Ha finito di transitare a Nord e ora sta inglobando parti del Sud. Ma finirà prima che passi molto tempo, quando la democrazia sarà solidamente istituzionalizzata in forme appropriate a popolazioni multietniche, e soprattutto bietniche. Finirà, auspicabilmente, durante il XXI secolo”.

L’antidoto al lato oscuro della democrazia, in definitiva, è la democrazia stessa, esercitata secondo modalità che sappiano istituzionalizzare il conflitto, indirizzandolo su basi diverse da quelle etniche o, laddove non sia possibile, adottando meccanismi confederali o consociativi che ne assicurino il funzionamento anche in una realtà divisa.

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L'indice del volume

APPROFONDIMENTO. Iraq, un caso da "Lato oscuro"

SCHEDA. Università Bocconi editore

Fabio Todesco

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