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| 24/01/2021
Il senso di Marta Cartabia per l'insegnamento

Il senso di Marta Cartabia per l'insegnamento

FULL PROFESSOR DI DIRITTO COSTITUZIONALE ITALIANO ED EUROPEO PRESSO IL DIPARTIMENTO DI STUDI GIURIDICI, LA GIUDICE E PRESIDENTE EMERITA DELLA CORTE COSTITUZIONALE RACCONTA LA SUA VISIONE DELL'ESSERE DOCENTE E PERCHE' INSEGNARE E' UNO DEI PIU' IMPORTANTI CIVIL SERVICES

Quando a settembre 2020 – allo scadere del suo mandato come giudice e presidente della Corte Costituzionale – in molti hanno commentato la scelta di Marta Cartabia di tornare all’insegnamento come una decisione di tornare alla vita privata, lei ha obiettato: “La docenza non solo è un servizio pubblico, ma è forse tra i più essenziali. Il problema è che in Italia è troppo poco valorizzato”. In queste poche parole e in questa concezione dell’insegnamento come civil service, c’è tutta la visione che ha motivato la giurista nella sua lunga carriera di professore universitario e che oggi l’ha portata in Bocconi, dove da alcune settimane è professore di Diritto costituzionale del Dipartimento di studi giuridici.

Che professore è oggi Marta Cartabia, alla luce della sua esperienza istituzionale?
Mi piace ricordare una frase del giurista Oliver W. Holmes: “La vita del diritto è esperienza, non pura logica”. Il diritto è una scienza sociale che vive nella sua relazione con i casi della vita: aver svolto il ruolo di giudice costituzionale e poi di presidente spero e penso abbia arricchito la mia cultura giuridica del diritto vivente. È un aspetto che penso di poter offrire agli studenti oggi più di ieri.

In Bocconi insegna Diritto costituzionale italiano ed europeo e Constitutional Justice. Qual è la prima cosa che ha detto ai suoi studenti?
Ho voluto dare loro un’indicazione di tipo metodologico, rifacendomi a una frase di John Henry Newman, il quale richiedeva ai suoi docenti “a living teaching”, un insegnamento vivo, a sottolineare che la conoscenza è qualcosa di più di un recepimento passivo di nozioni in una fredda aula scolastica. Il compito dell’Università è educare l’intelletto a ragionare criticamente in ogni ambito. Quello che vorrei proporre ai miei studenti è di partecipare a questa avventura condivisa, cercare insieme un sapere critico. Il diritto si presta bene a questo, perché è risoluzione di conflitti e controversie. Il diritto non chiede agli studenti solo di conoscere nozioni, ma di metterle in pratica utilizzando la ragione.

Ci sono altri messaggi importanti che un professore di Diritto costituzionale deve dare oggi ai suoi studenti?
Che il nostro compito non è solo creare studenti performanti sul piano professionale, ma cittadini consapevoli con un forte spirito critico. Ciò che facciamo in aula è sia apprendere gli strumenti giuridici, sia crescere come persone.

Quando parla del suo lavoro con gli studenti ne parla sempre al plurale. Il soggetto delle sue frasi è un ‘noi’
L’insegnamento è sempre un noi, un’avventura comunitaria. Anche per me è occasione per continuare a crescere.

Come imposta il suo lavoro?
Voglio mettere a frutto gli aspetti forti di due tradizioni in cui io stessa sono cresciuta: quella europea-continentale e quella anglo-americana. La prima è quella di un grande rigore concettuale, linguistico-sistematico, che richiedo anche agli studenti. La seconda si basa sul metodo più tipicamente socratico, che mira a sviluppare le skills che ogni buon giurista deve avere in termini di capacità di risoluzione dei problemi. In aula non tengo conferenze, chiedo agli studenti di prepararsi sul materiale prima della lezione e poi in classe faccio domande per stimolarli a vedere i problemi e a provare a dare le risposte.

Che approccio ha con gli studenti?
Io non tengo le distanze con nessuno, mai. Tanto meno con i ragazzi universitari, che trovo siano in una fase interessantissima della loro vita, una fase che non voglio perdermi per nulla al mondo.

Le è mancato l’insegnamento in questi anni?
Moltissimo. E mi è mancato moltissimo il rapporto con i ragazzi. Purtroppo, vige questa regola tutta italiana per cui i giudici costituzionali non posso insegnare. Secondo me è un peccato perché credo che la formazione sia uno dei compiti pubblici più alti, delicati e cruciali. Inoltre, i ragazzi, quando sono partecipativi, con il loro desiderio di capire e la loro mente aperta e libera da pregiudizi ci pongono domande che ci fanno riflettere, quindi danno tanto ai loro insegnanti. Quello che ho fatto, in questi anni, è stato di non rifiutare mai inviti a conferenze nelle università.

Quali sono le soddisfazioni più grandi per un professore universitario?
Vedere fiorire le personalità e le professionalità. Vedere i ragazzi che abbiamo conosciuto diciottenni, magari un po’ spaesati, diventare dei grandi professionisti.

Lei fa anche ricerca. Quali sono i suoi ambiti di studio?
Finora soprattutto la dimensione costituzionale dell’integrazione europea, la tutela dei diritti fondamentali della persona e, ovviamente, i sistemi di giustizia costituzionale, sempre in una prospettiva comparata e internazionale, che è caratteristica di tutti i filoni della mia ricerca. Inoltre, ho approfondito la dimensione umanistica, culturale, del diritto e il tema delle finalità della giustizia penale. Credo che uno dei settori sui quali mi concentrerò sia l’analisi di come si sta riconfigurando il rapporto tra pubblico e privato, soprattutto alla luce della pandemia.

Perché ha scelto la Bocconi?
Per il suo respiro internazionale, che ha sempre caratterizzato il mio percorso: ho fatto l’ultimo anno di università all’estero prima ancora che esistesse il progetto Erasmus. Questa possibilità per me è essenziale, sia nell’insegnamento, sia nella ricerca. E poi ho visto una Scuola di giurisprudenza giovane ma molto in crescita, un ambiente dinamico dove ci sono spazi di costruzione, e ho conosciuto colleghi con in quali ho avvertito subito una grandissima sintonia e delle possibilità di collaborazione proficua. Ma c’è anche un’altra cosa: sono stata invitata all’anniversario dei 10 anni della Scuola e sono rimasta colpita dall’alto livello di motivazione degli studenti. Questo, per un insegnante, è un terreno particolarmente fertile.

Cosa le hanno lasciato questi nove anni di Corte Costituzionale, con l’esperienza della presidenza?
In un’esperienza istituzionale del genere ci si ritrova con il potere enorme di scrivere dei frammenti dell’ordinamento giuridico, una responsabilità davvero grande perché una virgola o una parola possono cambiare la vita delle persone. La Corte Costituzionale è un ambiente in cui ci si allena a conciliare le diversità: tutte le decisioni sono assunte con il plenum del Collegio e ognuno ha un punto di vista molto forte e motivato. Bisogna imparare ad ascoltare le ragioni dell’altro, anche magari a lasciarsi correggere nelle proprie impostazioni. È il gusto del pluralismo culturale e della mediazione. Questo poi, soprattutto in qualità di presidente, il cui compito è armonizzare tutte le voci presenti, anche quelle dissonanti.
Andrea Celauro
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