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Ma quale declino? In Italia siamo tre milioni in più
Francesco Billari |
Billari e Dalla Zuanna, nel loro La rivoluzione nella culla. Il declino che non c’è (Università Bocconi editore, 2008, 214 pagine, 14 euro), argomentano che in Italia non esiste un declino demografico, quando si tenga in considerazione l’apporto degli immigrati. Stiamo assistendo, invece, a una rivoluzione demografica, imperniata intorno a cinque primati italiani, che richiedono di essere compresi per essere gestiti perché, ammoniscono i due autori “la rivoluzione demografica non è un pranzo di gala”.
Il primo primato è quello della velocità dell’immigrazione. Pur essendo paese d’immigrazione da meno tempo rispetto ad altri, l’Italia, con 300.000 nuovi ingressi l’anno nell’ultimo decennio, ha recuperato il tempo perduto. Ma le sue zone più ricche sono area d’immigrazione da più di 50 anni, solo che fino a tutti gli anni Settanta gli immigrati provenivano dal Sud, dagli anni Novanta in poi dall’estero. Se, dal 1951 in poi, non ci fosse stata immigrazione, il Piemonte, basandosi sulla sola fecondità delle residenti, avrebbe un milione e mezzo di abitanti in meno. E dal momento che gli immigrati si adeguano in fretta alla fecondità locale, nei prossimi lustri il declino demografico sarà evitato solo se continueranno ad arrivare 300.000 nuovi italiani l’anno.
Il secondo primato è quello dei forti legami di sangue, con il fenomeno delle famiglie-grappolo (gruppi di famiglie legate tra di loro), che diventano vere e proprie unità di welfare, oggi in sostituzione delle politiche pubbliche, un domani, se adeguatamente stimolate, a supporto di queste.
Il terzo primato è quello della lunga gioventù, che si esplicita nella posticipazione dell’abbandono della casa materna e dell’ingresso nel mondo del lavoro, ma anche in anacronistiche disposizioni di legge, come quella che rende eleggibile al Senato solo chi abbia compiuto i 40 anni.
L’Italia ha anche il primato dei genitori attempati. La bassa fecondità non è dovuta tanto al numero di donne che rimangono senza figli, ma a quelle che ne hanno uno solo e in età più avanzata che in passato. La stessa fecondità è risalita, rispetto ai minimi dello scorso decennio, soprattutto nelle aree del paese caratterizzate da maggiore benessere, maggiore diffusione di famiglie non tradizionali e maggiore presenza di donne lavoratrici.
L’ultimo primato è quello dell’allungamento della vita, che ha subito un’accelerazione spettacolare, portando l’Italia dalla coda tra i paesi sviluppati nel 1951 alla testa odierna.
Se non vuole sprecare i talenti e le possibilità che la rivoluzione demografica mette a sua disposizione, l’Italia deve attuare politiche adatte a questo nuovo mondo. Billari e Dalla Zuanna suggeriscono mercati del lavoro più flessibili e sicuri per le donne, pari opportunità per i bambini inseriti in famiglie numerose (e che oggi, invece, sono sistematicamente svantaggiati), pari opportunità per i bambini che vivono in famiglie a reddito basso o straniere, una più celere concessione della cittadinanza agli stranieri residenti e incentivi all’allungamento della vita lavorativa.
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