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| 19/09/2007

A chi diamo 1,19 miliardi di euro ogni anno

UN ESERCITO DI EX BUROCRATI, MASCHI, ULTRACINQUANTENNI, LAUREATI E ASSUNTI A TEMPO INDETERMINATO

Alex Turrini

di Alex Turrini, assistant professor di economia delle amministrazioni pubbliche e delle aziende non profit alla Bocconi

Poco meno di 15.000 persone, pari al 3% dei dipendenti degli enti territoriali, rappresentano il totale dei dirigenti di ministeri, regioni, province e comuni assoggettati al contratto collettivo nazionale, per un costo in termini di retribuzioni complessivamente pari a 1.192 milioni di euro. Si tratta di un esercito di lavoratori piuttosto omogeneo che egualmente sta evolvendo verso connotazioni sempre più manageriali.

 

L’identikit dei dirigenti pubblici tracciato dall’Osservatorio sul cambiamento delle amministrazioni pubbliche della Sda Bocconi (Ocap) ci restituisce una rappresentazione della situazione attuale tipica delle fasi di transizione. È chiaramente in essere un processo di trasformazione della dirigenza pubblica, ma, come è normale che sia, i tempi necessari per un cambiamento radicale sono molto lunghi.

La dirigenza degli enti territoriali è prevalentemente maschile (73% dei dirigenti in servizio) e in possesso di un diploma di laurea (87% dei dirigenti in servizio). L’età media è, in tutti i comparti esaminati, superiore ai cinquant’anni; le forme contrattuali tradizionali sono quelle dominanti (l’83% della dirigenza degli enti territoriali è assunta a tempo indeterminato); le carriere sono prevalentemente interne al settore pubblico, con una anzianità media di servizio di 20 anni e una propensione alla mobilità intorno al 3,2%. Le retribuzioni medie sono pari a 81.976 euro lordi all’anno, con una percentuale dell’8% mediamente collegata ai risultati raggiunti.

Nella sostanza, i dati confermano l’idea di un settore che si sta gradualmente rinnovando dall’interno, e che necessita di un ulteriore sforzo di riqualificazione della cultura e delle competenze.

In questa prospettiva, appare oggi inadeguato attribuire al manager pubblico obiettivi esclusivamente legati a una “buona ed efficiente” gestione, così come appaiono spesso forzati gli accostamenti ai ruoli dirigenziali sviluppati nelle imprese private. L’evoluzione della pubblica amministrazione italiana richiede al futuro manager pubblico di supportare l’elaborazione delle politiche, gestire le relazioni con la rete degli interlocutori rilevanti (a fronte della sempre maggiore interdipendenza di attori, pubblici e privati), rispondere dell’attuazione dei programmi e della produzione di risultati.

Il profilo che ne emerge è quello di un manager capace di conciliare aspetti di razionalizzazione dell’esistente con una tensione allo sviluppo, un’attenta gestione delle risorse interne con l’attivazione e la gestione di network inter-organizzativi, il potenziamento dell’autonomia decisionale con un’attitudine alla delega e allo sviluppo professionale dei collaboratori, lo sviluppo di responsabilità organizzative con la valorizzazione dei momenti di confronto e interazione con gli amministratori.

In questa logica, si modificano al tempo stesso le competenze possedute, i contenuti di lavoro, le attitudini e gli orientamenti personali del manager pubblico.

Per quanto riguarda le capacità necessarie, diventa fondamentale una solida competenza in senso stretto manageriale (conoscenza dei modelli organizzativi e delle metodologie di gestione, delle tecniche di programmazione, di valutazione economica, di motivazione), integrata da capacità di valutazione dell’impatto delle policy e da una conoscenza approfondita del quadro giuridico e istituzionale.

Rispetto ai contenuti di lavoro diviene essenziale orientare l’azione del management a compiti di guida, gestione delle relazioni, problem solving, creazione di ambienti di lavoro motivanti, verifica e valutazione dei risultati, in contrapposizione al rischio di un prevalente focus sulla gestione operativa e quotidiana.

Sul piano degli atteggiamenti, infine, diviene sempre più critica la capacità del management pubblico di esercitare una leadership, contribuendo con essa a ridefinire i valori e la cultura organizzativa, esprimendo un forte orientamento positivo e all’innovazione, oltre che dimostrando nei comportamenti l’assunzione diretta della responsabilità finale di risultato.

Andrea Celauro
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