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| 19/09/2007
Da burocrati a manager: quella riforma incompiuta

Da burocrati a manager: quella riforma incompiuta

ATTRATTIVITà DELLE CARRIERE, MERITOCRAZIA E RESPONSABILITà DEI RISULTATI. SOLO COSì L'ITALIA PUò MODERNIZZARE IL SUO APPARATO AMMINISTRATIVO

di Giovanni Valotti
direttore scientifico di Ocap, Osservatorio per il cambiamento delle amministrazioni pubbliche della Sda Bocconi

Un esercito di 20mila dirigenti pubblici, alcuni profili di alta qualità e tanti aspiranti manager. È questa la fotografia che ci restituisce il primo rapporto sulla dirigenza pubblica di Ocap, Osservatorio per il cambiamento delle amministrazioni pubbliche della Sda Bocconi. Se gli anni ‘90 hanno sancito sul piano normativo un nuovo spazio del management nei confronti della politica, gli anni 2000 hanno il compito di creare una nuova classe dirigente pubblica.

Giovanni Valotti

A che punto siamo? Passi avanti sono stati compiuti: il management pubblico ha acquisito rilievo e la qualità è migliorata. Molte delle innovazioni introdotte però faticano a incidere sulla reale evoluzione dei ruoli e delle responsabilità manageriali e si evidenziano forti scostamenti rispetto al quadro dei poteri e delle regole formali.Molti sono i fattori fuori dal controllo della dirigenza, dall’incertezza sulle risorse disponibili, alle intricate relazioni di sistema pubblico, alle resistenze della politica nel delegare potere decisionale.

Al tempo stesso, tuttavia, i limiti del processo di attuazione delle riforme toccano nel cuore la dirigenza pubblica in quanto tale, sollevando due questioni fondamentali: l’adeguamento delle competenze manageriali e la responsabilizzazione del management sui risultati.

Da un lato, il riconoscimento di maggiore autonomia decisionale ha trovato impreparata una classe dirigente cresciuta in organizzazioni che vedevano il dominio della cultura giuridica e della specializzazione settoriale; al tempo stesso, l’affermazione di un reale orientamento al risultato si è scontrata con il peso del sistema delle responsabilità formali, non scalfito dal processo di modernizzazione.

Questo è, allora, il limite principale del disegno di rinnovamento: avere definito un’architettura istituzionale innovativa, ma con fragili fondamenta. Si corre di conseguenza il rischio che la riforma della burocrazia si risolva in burocrazia delle riforme, tante trasformazioni sulla carta e pochi cambiamenti.

Come dare sostanza al processo di modernizzazione? Tre sono le priorità per il futuro.

Aumentare l’attrattività del settore pubblico, per le risorse più qualificate che si affacciano al mondo del lavoro e per chi già ricopre posizioni di significativa responsabilità. Come? Attraverso la qualificazione dei ruoli, dei contenuti di lavoro e dei percorsi di carriera; il miglioramento delle condizioni organizzative e lo sviluppo di una cultura realmente meritocratica; la competitività sul piano retributivo. Servono grandi progetti di innovazione, la comunicazione di professioni nuove e stimolanti, una campagna istituzionale sul rilievo dell’interesse pubblico, un rilancio dello status del dirigente pubblico, un sistema universitario e di formazione specialistica in grado di avvicinare i giovani e i più capaci ai temi della cosa pubblica, come avviene in molti altri paesi.

In secondo luogo, premiare i dirigenti di qualità. Migliorando i meccanismi di selezione della dirigenza, ancorando percorsi di carriera e incarichi ai meriti e ai risultati, bene utilizzando gli incentivi monetari.

Infine, svoltare con decisione verso una vera responsabilità di risultato. Misurare e rendere pubblici i risultati, senza possibilità di selezione o occultamento degli stessi. Aprire una nuova stagione della trasparenza, in grado di andare oltre il focus sui procedimenti amministrativi e di concentrarsi sulla valutazione e comunicazione delle performance.

Solo in questa prospettiva è immaginabile un ridisegno del rapporto tra politica e management che, superate le dichiarazioni di principio, sia realmente fondato su di una chiara distinzione dei ruoli e definizione delle responsabilità.

Andrea Celauro
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