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| 26/03/2015
Vino di qualita' in India, la scommessa di Andrea Secci

Vino di qualita' in India, la scommessa di Andrea Secci

LAUREATO IN BOCCONI, ANDREA HA APERTO CON IL FRATELLO E ALCUNI SOCI INDIANI UN'AZIENDA VINICOLA CHE IN POCHI ANNI HA CONQUISTATO UN TERZO DEL MERCATO LOCALE. E CONTINUA A CRESCERE

Un paese, l’India, dove, retaggio del periodo coloniale, la fanno da padroni il tè e il whisky. Il primo ostacolo è quindi di natura culturale: come fare per diffondere la passione per il vino in uno stato immenso ma ancora legato alle vecchie tradizioni britanniche? Andrea Secci, trentacinquenne fiorentino laureato in Bocconi, suo fratello Alessio e due coppie di amici indiani, a loro volta fratelli, hanno scelto la strada della qualità e dato vita alla Fratelli Wines, partita nel 2009 con una produzione dopo la prima vendemmia di 13 mila bottiglie e una previsione, per quest’anno non ancora terminato, di circa 1 milione. Un incremento notevolissimo.
“Mio padre produce scarpe in India da 40 anni, abbiamo conoscenze e l’idea è nata nel 2006, parlando con amici del posto. Dopo gli opportuni studi siamo partiti”. L’azienda, che dà lavoro a 158 dipendenti fissi più un centinaio per la vendemmia, ha sede a Akluj , nel Maharashtra, si estende per circa 100 ettari di vigne con 350 mila piante tra le più tipiche, Chardonnay, Sauvignon, Sangiovese tra le altre. “Produrre in India è una grossa opportunità perché il mercato è immenso, i giovani si stanno appassionando al vino e soprattutto le classi agiate amano il vino di qualità e costoso, perlopiù di importazione. Ma sono orgogliosi quando un vino di fascia alta viene prodotto in India e tendono a premiarlo”. Fratelli Wines attualmente ha una quota del 33% del mercato indiano, dove vende in 16 stati su 28. Ma esporta anche in Germania, Inghilterra, Giappone e persino Italia.

“Il mercato interno indiano è molto complicato”, continua Andrea Secci, “ogni stato ha regole diverse, dazi di importazione spesso altissimi e la burocrazia è talmente farraginosa da far sembrare quella italiana semplice e snella. In più c’è tantissima corruzione”.  Un mercato talmente complesso dove avere soci locali è indispensabile, pena la chiusura. In più, per un’attività come questa, manca tutto. “Abbiamo dovuto importare ogni cosa dall’Italia, con costi altissimi. Ma cresciamo del  100% all’anno, l’India produce attualmente 1,5 milioni di ettolitri contro i 56 dell’Italia, è facile immaginare quali margini ci siano. E’ per questo che siamo qui, anche perché la ‘faccia italiana’, come mi piace chiamarla, in questo settore è una carta ancora vincente”.
 
Davide Ripamonti
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