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| 28/06/2007
L’Italia “fa” acqua da tutte le parti

L’Italia “fa” acqua da tutte le parti

CON UNA PRODUZIONE DI CIRCA 12 MILIARDI DI LITRI L’ANNO, IL BELPAESE è IL PRIMO PRODUTTORE AL MONDO DI ACQUE MINERALI. RISULTATO CHE DESTA INTERESSE ANCHE ALL’ESTERO, COME DIMOSTRANO GLI INVESTIMENTI DI NESTLé E COCA-COLA

Ci sono quattro tipi di prodotti ai quali si pensa quando si parla di grande Made in Italy: il lusso, che sia moda o accessori, le auto, l’arredamento e il cibo. Giusto, però forse bisognerebbe aggiungerne un altro, le acque minerali. Con una produzione cresciuta del 30% tra il 1995 e il 2005 e che si attesta attualmente su circa 12.000 milioni di litri, l’Italia si pone infatti come primo produttore al mondo del prezioso oro blu. Eppure, nonostante queste ottime performance produttive, le acque italiane, a esclusione di pochi casi isolati, non godono ancora della stessa fama internazionale delle loro omologhe d’oltralpe, come la Evian.

Ed è proprio partendo da questi assunti che Alberto Dell’Acqua, docente di Corporate finance della Sda Bocconi, ha svolto ricerche sui processi di merger & acquisition del settore analizzando i dati forniti da Mineracqua e Beverfood ed è arrivato a una conclusione: “Le nostre acque minerali, ad esclusione di alcuni marchi di proprietà di grandi multinazionali, sono poco valorizzate all’estero. Se i tanti piccoli produttori presenti in Italia si unissero, potrebbero rendere le loro bottiglie un prodotto di lusso, riconosciuto e ammirato sulle tavole dei ristoranti del mondo”.

Il mercato italiano, che consta di un giro d’affari di 2,1 miliardi di euro, con 164 società di imbottigliamento, 189 fonti attive e 304 marchi (7.500 addetti nella produzione e 30.000 nell’indotto) si presenta infatti polarizzato intorno a pochi grandi marchi che si spartiscono il 75% del volume e che sono stati oggetto, negli ultimi anni, di alcune importanti operazioni di fusione e acquisizione. La San Pellegrino, marchio storico delle valli orobiche, è stato acquistato dalla Nestlè insieme alla Panna, alla Levissima e alla San Bernardo in una delle maggiori operazioni finanziarie del settore. Non solo, il 76% del gruppo Spumador, brand che racchiude marchi come Fonte S. Antonio e Fonte S. Francesco, è finito alla Lehman Brothers Merchant Banking, mentre la Coca-Cola ha compiuto il suo ingresso nel settore acque minerali con l’acquisto delle Fonti Rionero del Vulture, meglio note con il marchio Lilia, per 35 milioni euro.

L’interesse internazionale per il nostro mercato è dunque forte, anche grazie al generale cambiamento nei consumi e negli stili di vita degli ultimi anni: “La maggiore attenzione al concetto di ‘benessere’ si riflette sui comportamenti delle aziende che operano su scala mondiale”, spiega Dell’Acqua. “Esempio lampante è quello di Coca-Cola, che, anticipata da Pepsi sul posizionamento nel settore degli energy drink, ha deciso di investire nelle acque minerali, comprando Lilia e il principale brand delle acque romene, la Dorna”. Così come la Nestlè che, precedendo gli altri player, possiede oggi la maggiore quota di mercato nel settore e sta operando “un ottimo lavoro di riposizionamento dei suoi marchi italiani, San Pellegrino in testa, nel settore Ho.re.ca (hotel, restaurant e caffetterie), trasformandoli in marchi di lusso”.

Ma se l’acqua delle sorgenti italiane comincia a far drizzare le antenne dei grandi investitori stranieri, la stessa cosa non sembra ancora avvenire in casa nostra: “Ci sono alcuni piccoli marchi storici, come la fonte Bracca (che in passato era l’acqua del Papa), che non hanno sufficiente visibilità e rimangono confinati a livello regionale”, aggiunge Alberto Dell’Acqua. “Se questi fossero riuniti in un grande gruppo oppure sostenuti da maggiori investimenti di capitali, le aziende che li gestiscono potrebbero crescere e magari proporli come brand di lusso ‘Made in Italy’ nell’importantissimo comparto Ho.re.ca”. Servono dunque investimenti finalizzati all’unificazione e allo sviluppo di quel 20% estremamente frammentato del mercato italiano e, soprattutto, un deciso cambio di prospettiva: “L’acqua minerale non va pensata solo come prodotto del business mix di marchi come la Coca-cola che già operano nel settore del beverage”, continua Dell’Acqua, “ma potrebbe entrare anche nella portafoglio di brand italiani attivi nel settore alimentare e della ristorazione. Creare aggregazioni tra piccoli marchi significherebbe tra l’altro ridurre i costi di stoccaggio e trasporto oltre che l’impatto ambientale”.

Andrea Celauro
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