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Comunicati stampa Egea | 08/03/2007

Crescere spendendo. L'altra verità sul welfare state

LA STORIA DIMOSTRA CHE LA SPESA SOCIALE NON OSTACOLA LO SVILUPPO ECONOMICO, MA VA A BRACCETTO CON DEMOCRAZIA, LONGEVITà E RICCHEZZA, SPIEGA PETER LINDERT IN UN LIBRO CHE ROVESCIA I LUOGHI COMUNI SU TASSE E TRASFERIMENTI

Peter Lindert
Spesa sociale e crescita
Università Bocconi editore, 2007
480 pagine, 30 euro

Con la compostezza e il rigore di una metodologia ortodossa, Peter Lindert, nel suo Spesa sociale e crescita (Università Bocconi editore, 2007, 480 pagine, 30 euro), assesta dei gran fendenti a chi sostiene la tesi, largamente diffusa tra economisti, ideologi e politici, che la spesa sociale sia d’intralcio allo sviluppo. Al contrario, afferma l’economista della University of California a Davis, la diffusione del welfare state, dalla fine del XIX secolo a oggi, non ha ostacolato l’economia ma stimolato una crescita più equilibrata.

Elaborando una mole impressionante di dati, molti dei quali inediti, e adottando un approccio che miscela l’analisi storica, economica e politica, Lindert conclude che la spesa sociale si sviluppa laddove crescono la democrazia, la longevità e la prosperità economica. Se è, perciò, vero che il welfare state, in Occidente, ha smesso di svilupparsi dagli anni ’80 del Novecento, nel prossimo futuro non si assisterà a un suo ridimensionamento, se non nei paesi che soffriranno di gravi crisi economiche. Persino la spesa per le pensioni è destinata a non contrarsi, anche se il numero crescente di pensionati costringerà a ridurne i benefici individuali.

La spesa sociale, mostra Lindert con argomenti storici, è figlia degli interessi di chi gode di rappresentanza politica. Lo sviluppo della democrazia, con l’allargarsi dei ceti rappresentati, ha così decretato la sua crescita. Questa osservazione aiuta a comprendere il “dilemma di Robin Hood”, secondo il quale i maggiori trasferimenti ai poveri, ai malati e agli anziani si registrano nelle società più ricche e meno diseguali, che ne avrebbero meno bisogno, mentre quelle più polarizzate, in cui le decisioni politiche sono appannaggio dei ricchi, sono restie ad attuarli. Lo stesso meccanismo spiega perché la spesa sociale si sia sviluppata nei paesi a maggiore mobilità sociale e a maggiore omogeneità etnica: qui è politicamente più facile l’identificazione degli appartenenti ai ceti più alti con i più bassi.

La conclusione più controintuitiva (e controversa) è però la possibilità del mitico “pasto gratis”. Non solo non esiste nessun meccanismo darwiniano che punisca, in termini di crescita, i paesi che sostengono spese sociali più elevate, ma “insieme a livelli di produttività quasi americani, i cittadini dei paesi con spesa sociale maggiore riescono a godere di più tempo libero e vanno in pensione prima”. Inoltre, lavorano meno ore e vivono più a lungo.

Tutto ciò è possibile perché il mondo schematico degli economisti, in cui uno stato che spenda il 20% del pil in welfare lo fa sottraendo questa somma ai più ricchi per trasferirla ai più poveri, semplicemente non esiste. Quando la posta in gioco è così alta, i politici fanno molta attenzione alla qualità del prelievo e della spesa. Il reddito d’impresa e i capitali, per esempio, non sono tassati nella prodiga Europa più che nei parchi Stati Uniti, mentre vengono penalizzati i consumi, soprattutto quelli con esternalità sociali come alcol e tabacco, e il reddito da lavoro. Le maggiori entrate vengono, inoltre, investite in attività con un alto ritorno economico di lungo periodo, come l’istruzione pubblica e la sanità. Nel mondo reale, in altri termini, non esiste nessun trade off tra uguaglianza ed efficienza.

Gli stessi sussidi alla disoccupazione, argomenta Lindert, anche se incentivano qualcuno a non cercare seriamente un impiego, finiscono per escludere solo i lavoratori meno produttivi, con effetti paradossalmente positivi sulla produttività del sistema nel suo complesso e minimamente negativi sulla produzione. E i rigidi controlli sui beneficiari dei trasferimenti tipici degli stati a bassi trasferimenti sociali risultano amministrativamente più costosi, economicamente inefficienti e, in definitiva, di ostacolo alla crescita rispetto all’universalismo tipico di chi spende di più.

Su un tema come l’effettiva necessità e le conseguenze reali del welfare state, vecchio quanto l’economia, pochi si aspettavano che qualcuno potesse realizzare un’opera completa e innovativa come quella di Lindert. Jeffrey Sachs l’ha definita “poderosa” e ha scritto che “sarà ampiamente letta e dibattuta per anni a venire”. La Economic History Association le ha assegnato il Gyorgy Ranki Prize e la Social Science History Association le ha dato l’Allan Sharlin Award.

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SCHEDA: Università Bocconi editore

Fabio Todesco

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