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| 29/11/2006
Stefania Borghini, la cineasta del marketing

Stefania Borghini, la cineasta del marketing

DOPO UN’ESPERIENZA A CHICAGO, LA RICERCATRICE DELLA BOCCONI HA INTRODOTTO IN ITALIA LA PRODUZIONE DI FILM COME CONTRIBUTI SCIENTIFICI IN CAMPO MANAGERIALE. DISTILLANDO NOVE MINUTI DA 40 ORE DI RIPRESE

Stefania Borghini

L’Oscar del 2005 è stato assegnato, a fine febbraio, a un film sul pugilato femminile, Million Dollar Baby di Clint Eastwood. Ad agosto dello stesso anno un film sulla partecipazione alle esposizioni fieristiche, Same Place, Next Year, ha dato altrettanta soddisfazione a Stefania Borghini, Francesca Golfetto e Diego Rinallo, i tre docenti Bocconi che lo hanno presentato non a un concorso cinematografico ma al congresso scientifico dell’Industrial Marketing and Purchasing Group a Rotterdam, aprendo la strada all’utilizzo di strumenti audiovisivi in un campo di ricerca come il marketing industriale. Gli autori hanno dovuto ripetere la proiezione del cortometraggio di 9 minuti e gli organizzatori lo hanno ricordato, nella relazione finale, come uno dei contributi fondamentali dell’incontro.

Il motore dell’iniziativa è stata Stefania Borghini, ricercatrice oggi 35enne, docente di teoria dei consumi, con alle spalle un altro cortometraggio scientifico, realizzato nel 2003 a Chicago, presso la Kellogg School of Management, dove l’utilizzo di questo strumento era stato introdotto da qualche tempo nell’analisi del comportamento dei consumatori.

“Sono stata a Chicago per sei mesi”, racconta Borghini, “in un gruppo di ricerca di sei persone, che lavoravano attorno a quel vero e proprio fenomeno di costume che sono le bambole American Girl”. Si tratta di bambole alte 45 centimetri, in vendita a 94 dollari, che rappresentano bambine di nove anni fortemente caratterizzate per periodo storico e appartenenza etnica. Sono nate dall’idea di Pleasant Rowland, un’insegnante che voleva coniugare divertimento e storia, e vengono lanciate sul mercato insieme ai libri che le vedono protagoniste e a mille, realistici accessori. I negozi di American Girl, organizzati come piccoli parchi a tema, sono meta di veri e propri pellegrinaggi di famiglia, con nonne e madri che vi accompagnano le bambine, alla scoperta dell’essenza della femminilità americana.

“Il consumer behavior è una disciplina alla quale si applicano metodologie qualitative”, spiega Borghini, “mutuate dall’antropologia e dall’etnografia. Dal 2000, grazie allo stimolo di Russell Belk della University of Utah e di Robert Kozinets attualmente alla York University, si sono cominciati ad accettare filmati scientifici ai congressi americani, con la stessa dignità degli articoli. Il gruppo di Chicago, coordinato da John Sherry, lavorava sia alla stesura di paper sia alla realizzazione di un film”. La nuova modalità di ricerca si è consolidata al punto che, negli USA, e da qualche tempo anche in America latina e in Europa, durante workshop dedicati, una squadra di tecnici è in grado di dare buoni consigli ai ricercatori e fornisce l’attrezzatura necessaria. La presentazione di filmati ai congressi americani di consumer behavior non è più occasionale e il programma ora prevede sempre una rassegna dedicata. Il primo film festival scientifico d’Europa è, invece, del 2005, con il congresso dell’Association for Consumer Research a Goteborg. Il congresso della stessa associazione alla Bocconi, nel 2007, sarà il secondo caso europeo, e il primo in Italia, di rassegna strutturata. È invece un’esperienza ormai diffusa in tutte le discipline manageriali l’utilizzo del cinema a fini didattici, attraverso la proiezione di spezzoni di film esplicativi dei concetti che si vogliono trasmettere.

Tornata come ricercatrice alla Bocconi, dove aveva preso il PhD in management, Borghini è riuscita a coinvolgere nel suo entusiasmo per la nuova forma espressiva Diego Rinallo, un altro giovane PhD, e Francesca Golfetto, ordinario di marketing. Borghini e Rinallo hanno seguito un corso tecnico intensivo alla University of Utah e i tre hanno avviato il progetto sulle fiere, lavorando parallelamente su carta e su pellicola. Hanno visitato e osservato 13 fiere delle filiere del legno e della moda, osservando il comportamento rituale dei visitatori. “Il filmato si è dimostrato un mezzo efficacissimo per spiegare un fenomeno esperienziale e sociale come la fiera. Abbiamo mostrato con evidenza come la ritualità si esplichi nel fatto di non poter mancare a eventi che forniscono una rappresentazione dell’intero mercato di riferimento e nel comportamento standardizzato dei visitatori. La prima tappa è sempre lo stand dei leader di mercato; seguono quelli dei fornitori abituali e, solo se rimane tempo, quelli degli altri, per farsi un’idea di tutte le novità”.

La creazione di un filmato scientifico si differenzia chiaramente dalla produzione di fiction, ma anche dal genere documentaristico che ha raggiunto le sale cinematografiche negli ultimi anni. La prima fase consiste nelle riprese. “Per i nove minuti del film sulle fiere abbiamo girato 40 ore”, calcola Borghini. Segue la puntuale trascrizione dei contenuti (più di 400 pagine, in quel caso). La terza fase, quella scientificamente più delicata, consiste nella scelta dei dati più importanti e significativi. Si deve, cioè, decidere che cosa dire, tenendo presente che la finalità prima non è la qualità cinematografica, ma il progresso scientifico. Si procede, poi, alla sceneggiatura, l’individuazione dei clip, il montaggio e la sovrapposizione di eventuali effetti.

“Per fare un lavoro scientificamente fondato servono alcune attenzioni particolari”, spiega Borghini, “come il fatto di mostrare sempre il contesto dell’intervista, ma il fulcro di tutto è la scelta del contenuto scientifico che meglio si presta a essere spiegato attraverso le immagini e le voci. Il modo in cui combini le testimonianze, la voce narrante e i sottotitoli costituisce il tuo contributo, senza bisogno di virtuosismi”. A spingere Borghini su questa via innovativa non è stata una particolare passione per il cinema, ma “il desiderio di produrre conoscenza sperimentando metodi alternativi in modo creativo. È qualcosa che si aggiunge, ma non sostituisce la scrittura”.

Fabio Todesco

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